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Descrizione del libro

"Per i Tibetani la morte Ã¨ o il cominciamento di una nuova vita, come accade per le creature che la luce della veritÃ non rigenerÃ² e trasse a salvazione, o il definitivo disparire di questa fatua personalitÃ - effimera e vana come il riflesso della luna sull'acqua - nella luce indiscriminata della coscienza cosmica, infinita potenzialitÃ spirituale. Continuare ad esistere in una qualunque forma di esistenza, anche come dio, Ã¨ dolore: perchÃ© esistenza vuol dire divenire, e il divenire Ã¨ l'ombra dell'essere, un sempre rinnovato corrompimento, un non mai soddisfatto desiderio, una pena che mai si placa. La pace Ã¨ nel dissolversi inconsapevole in quella luce incolore da cui tutte le cose traggono nascimento e che, senza che ne siamo consapevoli, brilla in noi stessi. Per dirlo con altre parole, quando si muore, sono due le vie che a noi si aprono: o un definitivo spegnimento della creatura singola che Ã¨ la sorte degli Eletti; oppure la rinascita, che attende chi non seppe comprendere che tutto Ã¨ sogno. Per la qual cosa, questo trattato dovrebbe essere piuttosto conosciuto, anzichÃ© come il libro dei morti, col suo vero nome tibetano, che significa libro della salvazione, o traducendo alla lettera: Â«il libro che conduce alla salvazione dall'esistenza intermedia per il solo sentirlo recitareÂ», perchÃ© la sua recitazione evoca nel principio cosciente del morituro o del defunto la veritÃ redentrice. E per salvazione s'intende appunto lo spegnimento della personalitÃ , o come l'evasione da una nuova rinascita verso la quale il carma maturando fatalmente ci urge." (Dall'Introduzione di Giuseppe Tucci)