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Francesca Woodman: Â«La storia non Ã¨ nell'immagine, ma nel nostro rapporto con l'immagine, in ciÃ² che essa deposita in noiÂ» scrive Bertrand Schefer, che alla fine degli anni novanta vede per la prima volta alcuni scatti fotografici di Francesca Woodman e ne rimane folgorato. Quelle fotografie, per lui cosÃ¬ respingenti in un primo momento, tornano negli anni a interrogarlo, a tormentarlo, incessanti come gocce, persistenti come un'ossessione amorosa. Si ripromette di scrivere un giorno su di lei, per far luce sull'enigma che incarna, per salvarla dall'oblio. Non Ã¨ della sua fotografia che vuole parlare, Ã¨ lei che vuole riportare in vita, anche solo per qualche attimo. Come un archeologo insaziabile, riesuma allora tutto quanto puÃ² aiutarlo a ricostruire quella "storia mancante"; una storia in cui il flusso dei propri ricordi personali, innescati dalla figura sfuocata e irraggiungibile di Francesca, si mescola alla vicenda biografica della giovane fotografa: l'infanzia in Colorado, il legame forte con l'Italia, i genitori, anche loro artisti, la prima macchina fotografica, gli anni formativi alla scuola d'arte, il soggiorno romano che porta a maturazione un temperamento cosÃ¬ singolare. Francesca si distingue dalla massa, atipica ovunque vada. Nei suoi vestiti d'epoca sbiaditi si ritrae di volta in volta come una presenza fantasmatica, ineffabile, sensuale, anacronistica, giÃ consapevole che non Ã¨ il mondo contemporaneo lo scenario in cui troverÃ la propria dimensione. Se la sua arte Ã¨ il motore che la muove, Ã¨ anche il veleno che la consuma, la prigione da cui un giorno del 1981 riuscirÃ a liber